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"Follia creativa" e "follia devastante" nella mente dell’artista

Ultimo Aggiornamento: 11/06/2010 07:11
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09/06/2010 22:27
 
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La follia è sempre stata in bilico tra il silenzio del delirio, che non possiede un linguaggio per esprimere le proprie ragioni e la parola, che parla invece il linguaggio di un sapere sommerso, escluso dal dominio del potere e della legittimazione sociale. La figura del buffone, nel teatro che va dal Medioevo fino al Rinascimento, costituiva una istituzionalizzazione della parola della follia, una parola che non viene ascoltata, una parola irresponsabile, ma che ha il privilegio di una vista acuta e inaudita.
Ma quando la follia ha cominciato ad essere compresa dalla ragione, attraverso la nascita della psichiatria, essa ha subito il pericolo di scomparire sotto il giudizio della razionalità medica. Nella prospettiva della psichiatria gli individui folli non sono più i rappresentanti di un mondo, respinto ai margini della società, ma sono solo dei malati. La letteratura dello scorso secolo ha risentito di questo slittamento della follia nella malattia. Il tentativo di grandi artisti e innovatori, come Van Gogh e Nietzsche, di esprimere il loro fascino verso una visione delirante del reale, poiché in assoluta mancanza di sintonia con la visione comune, subisce alla fine lo scacco dell'esclusione nel regno della follia.


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09/06/2010 22:34
 
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Folletti innamorati _Arte Folle
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09/06/2010 22:42
 
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_Urlo_
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09/06/2010 22:45
 
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La follia non ha una sua stabilità. Gli psichiatri, da quando la follia è diventata una cosa di cui si occupa la medicina, cercano di individuare delle forme stabili di follia. Però in realtà è una caratteristica della malattia mentale quella di avere tante sfaccettature e di mutare nel tempo a seconda dei contesti. C'è una grossa differenza, per esempio, tra certi quadri mentali che si potevano riscontrare nei manicomi e quadri invece morbosi, che magari si chiamano ancora con lo stesso nome, ma che sono liberamente circolanti. L'ambiente è assolutamente determinante, la variabilità dei quadri clinici nel tempo. Tanto è vero che gli psichiatri sono continuamente presi tra due poli: quello di individuare la stabilità delle forme cliniche - quadri cioè rigidi - e il fatto di non poterli mantenere, perché la realtà critica li smentisce e quindi devono invocare concetti più dinamici. Si parla di più malattie, che si alternano, o simultaneamente presenti. Insomma, dalla rigidità dei quadri della psichiatria ottocentesca e anche novecentesca, si è arrivati a un a visione molto più dinamica della forma morbosa.


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09/06/2010 22:52
 
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Max _Ernst
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09/06/2010 22:56
 
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La parola "creatività" è una parola larga, perché noi possiamo parlare di creatività sia per processi minimi, che però sono inventivi - per esempio la creatività infantile -, sia possiamo parlare di creatività per la creatività artistica, per le grandi opere che rappresentano l'umanità, dove si esprime il genio creativo dell'autore. La parola "creatività" copre quindi un'area di fenomeni vastissima. Questo è un primo inconveniente di questa parola. Per quello che riguarda il rapporto tra questo momento e la follia vera e propria, anche qui se ne sono dette di tutti i colori, perché, in effetti, esiste una follia creativa, diciamo così, e invece una follia che, come ha detto Foucault, corrisponde a un silenzio dell'opera. Cioè, quando certe forme di follia devastanti alterano la mente dell'artista, non abbiamo più la produzione artistica, ma il silenzio, l'impossibilità espressiva, la caduta dei poteri costruttivi. Questo è stato il caso di Nietzsche, la cui follia, dopo una breve fase di produzione confusa, disarticolata e che suscita tante ipotesi da parte degli interpreti dell'opera di Nietzsche, a un certo punto cade in un silenzio assoluto, interrotto solo nel corso degli anni qua e là. Ecco, questo è un caso dove la follia è devastante. Ci sono invece casi dove sembra che la follia sia connessa alla creatività. In che forma però è tutto da vedersi. Per esempio, penso che un artista come Van Gogh fosse un artista fortemente scisso. Da un lato c'era il momento disgregativo, depressivo, autodistruttivo e, dall'altro, una forte contrapposizione di un mondo che veniva continuamente ricreato, di straordinaria bellezza. Quindi qui c'è contrapposizione fra questi due momenti. L'arte, entro certi limiti, aiuta il soggetto a salvarsi dalla distruttività, dall'autodistruttività e da movimenti di disagio gravissimi con se se stesso e col mondo.


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10/06/2010 11:36
 
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Anche in Italia abbiamo avuto degli esempi interessanti di "pazzia artistica". Forse il più celebre fra tutti è Antonio Ligabue. Lo chiamavano proprio "El matt", il pazzo! E sopratutto quando lasciava andare la fantasia, dipingeva cose che testimoniavano con chiarezza la sua voglia di scappare via, ed anche il senso di minaccia incombente che avvertiva. Un esempio è questa "Traversata della Siberia"!

10/06/2010 11:47
 
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Fra i pazzi conclamati, Alda Merini



Le mie impronte digitali
prese in manicomio
hanno perseguitato le mie mani
come un rantolo che salisse la vena della vita,
quelle impronte digitali dannate
sono state registrate nel cielo
e vibrano insieme
ahimè
alle stelle dell'Orsa maggiore
10/06/2010 12:00
 
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E sempre nella letteratura, anche se qui in Italia è poco nota, c'è anche Janet Frame, la cui notorietà è legata al film "Un angelo alla mia tavola" di Jane Campion.



Più di 200 trattamenti di elettroshok, ed il rischio di essere lobotomizzata!

10/06/2010 12:00
 
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«La pazzia», diceva la Frame attraverso le parole di uno dei suoi personaggi, Vera Glace, «è il solo giorno di apertura al pubblico della fabbrica della mente. Possiamo camminarci dentro e attraversare, curiosare e ficcare le dita dappertutto, fare domande e restare incatenati di fronte agli innumerevoli ordini di estraneità che una volta intrecciati e trattati, impacchettati e distribuiti, non serbano alcuna somiglianza con i materiali originali, benché li contengano e siano parte di essi». E la salvezza giacerà nella parola ritrovata, l'unica dimora possibile sarà l'alfabeto. Vivere dentro le parole significa ammettere il carattere di reificazione del linguaggio stesso e cercare quella lingua originaria che si dà oltre il tempo e lo spazio; che non conosce le barriere delle convenzioni e riconosce e dichiara legittima la condizione di non-normalità.
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10/06/2010 16:37
 
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La gabbia dei folli
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10/06/2010 16:43
 
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L'arte della malattia
Esistono artisti che dipingono ciò che vedono, altri che dipingono ciò che ricordano o ciò che immaginano. Il nostro cervello si modifica di fronte alla realtà ma, allo stesso tempo, è capace di cambiarla: un cervello "diverso" dovrà pertanto avere un rapporto diverso con la realtà.
Nell' arte questo "processo" può portare alla creazione di nuove realtà, che solo in parte dipenderanno dall' "informazione sensoriale"; il nostro cervello, infatti, non ha necessariamente bisogno del continuo "flusso informativo" proveniente dai nostri sensi. I sogni, i ricordi che "rivivono" nelle immagini mentali e anche, rappresentazioni "semplicemente" create dalla nostra mente testimoniano questo evento.
In questo senso l'arte amplifica la realtà, crea un nuovo "canale mentale" in grado di aprirsi a nuove esperienze. Gli stimoli visivi, reali o evocati dalla memoria, che hanno eccitano il sistema nervoso dell'artista al momento della creazione dell'opera d'arte, trasformati dalla sua mano in colori e forme, stimoleranno il sistema nervoso di chi l'osserva. L'opera d'arte deve riuscire a suscitare nel cervello dell'osservatore sensazioni ed emozioni che sono state presenti nel cervello dell'artista [Maffei L., Fiorentini A., 1995]. Accostarsi ad un opera d'arte, guardarla, percepirla, comprenderla e apprezzarla, implica il coinvolgimento di molte strutture cerebrali e l'attivazione di meccanismi ben specifici, a partire dai funzionamenti alla base della percezione visiva, a quelli implicati nella cosiddetta "psicologia del vedere", nell'esperienza estetica ed emozionale. Questo si riferisce non solo all'emozione provata da chi gusta un dipinto ma anche al momento creativo che coinvolge l'artista per realizzare la sua opera.


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10/06/2010 16:54
 
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IL funambolo
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10/06/2010 16:58
 
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Alcuni ricercatori, soprattutto psicologi e neurofisiologi, sono rimasti affascinati dalla possibilità di studiare le proprietà e le caratteristiche del cervello che rientrano nella valutazione di un'opera d'arte e nel piacere che essa può dare; persuasi dall'idea che la comprensione di tali meccanismi cerebrali, insieme alla conoscenza delle vicende della vita di un artista e della cultura del suo tempo, possano favorire una maggior "cognizione" e apprezzamento dell'opera e di chi l'ha creata.
Un' opera d'arte nasce dalla combinazione di ciò che l'artista esperisce "visivamente" e da come interpreta quanto gli viene comunicato dal mondo esterno. Sia l'acquisizione dell'informazione visiva, sia la sua elaborazione interiore possono essere alterate da cause patologiche.
Gli effetti di gravi malattie mentali, spesso, alterando le capacità percettive ed emotive dell'artista, possono influire sulla sua espressione pittorica e testimoniano come la storia di vita del pittore entri a far parte integrante della sua opera.
Tutto ciò affiora nei quadri di alcuni grandi pittori in momenti particolari della loro vita.


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11/06/2010 07:09
 
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Arte, genio, follia:
Mario Ortolani
La nave dei pazzi
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Hieronymus Bosch (attribuito a)
Il concerto nell'uovo, XVI sec.
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