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Più conosco gli uomini e più mi piacciono le scimmie

Ultimo Aggiornamento: 19/04/2011 21:46
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19/04/2011 21:45
 
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«Ma lei… ehm… si sente discendente da uno scimpanzé?» è la domanda che il cardinal Renato Martino pone alla giornalista del TG2 che lo intervista, in un servizio ormai epico. Prima che l’intervistatrice possa formulare una risposta, a scanso di equivoci il religioso aggiunge, compiaciuto: «Io no!».
A parte la discutibile affermazione fatta qualche secondo prima dello stesso cardinale, secondo cui il darwinismo (1859) sarebbe figlio del marxismo (1867), smentita involontariamente qualche minuto dopo anche da un altro contestatore di Darwin, il biologo Sermonti, è forse il caso di soffermarsi su questa caustica domanda, che viene spesso usata come estremo attacco contro l’evoluzionismo. L’operazione in atto pare proprio quello di accantonare le argomentazioni e la logica puntando tutto sul tentativo di suscitare una sorta di empatia per la nostra condizione di primati evoluti che rinnegano le origini, facendo emergere uno spirito da tifoseria che dovrebbe spingerci a considerare la razza umana superiore alle altre specie animali e farci rispondere con un NO sdegnato.

Ma cosa, di preciso, ci dà il diritto di ritenerci migliori delle scimmie (o di qualsiasi altro animale)? Le scimmie vivono per lo più in comunità pacifiche, non fanno guerre per il petrolio, non truffano i loro simili promettendo investimenti vantaggiosi per poi scappare con il bottino. In generale, gli animali non mentono ai loro simili. Al massimo attuano delle tecniche di sopravvivenza per ingannare animali di altre rspecie. L’uomo è l’unico animale presente sulla Terra che, con la sua incuria, grettezza e stupidità, sta mettendo in serio rischio l’intero ecosistema, la biosfera da cui dipende anche la sua sopravvivenza in quanto specie.

Le scimmie non disboscano, non speculano, non riversano petrolio in mare e non effettuano test atomici in atolli da cartolina del Pacifico. Per quanto esistano scimmie omosessuali o bisessuali, non esistono scimmie pedofile. Le scimmie non incappucciano e imprigionano loro simili per poi torturarli. A ben vedere, le scimmie non hanno la minima idea di cosa sia uno strumento di tortura. Al massimo è stato l’uomo ad usarne su di loro. Gli animali in generale, anche quando lottano tra simili (per il dominio territoriale o per il possesso di femmine), non uccidono mai volontariamente un avversario che si arrende: quando si giunge ad un gesto di sottomissione, il combattimento cessa. Quindi i proiettili a bruciapelo, le coltellate nella schiena, le lapidazioni, le risse in cui “il branco” uccide a calci e pugni una vittima, sono peculiarità umane, e non scimmiesche.
19/04/2011 21:46
 
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Quindi sì, discendiamo dalle scimmie, ma speriamo che ciò non le offenda.
Il pensiero che ci fa considerare offensivo il fatto di avere un antenato in comune con le scimmie è totalmente limitato, causato forse da una grave mancanza di relativismo. Il relativismo viene spesso visto dalla nostra società come una cosa nociva, malvagia, crudele, capace di giustificare le peggiori aberrazioni. In realtà questo è quello che si vuole far credere: lo si scredita perché esso è un avversario ostico, dal punto di vista della ragionevolezza delle sue argomentazioni. E’ stata esattamente una tremenda carenza di relativismo che ha portato il mondo occidentale alle crociate: due agguerriti schieramenti che si affrontavano in sanguinose battaglie allo stesso grido: «Dio è con noi!». Del sano relativismo non lo avrebbe permesso: sarebbe stato infatti lo strumento per cogliere il lato grottesco della situazione.

Allo stesso modo il relativista non si sentirebbe offeso dall’essere accomunato ad una scimmia (con buona pace di Renato Martino, scimpanzé e uomo hanno in comune il 99% del DNA, e uomo e topo ne condividono i 4/5), bensì coglierebbe il fatto che, se l’evoluzione ci ha portato fin qui, non si vede perché dovremmo considerarla ferma! A partire da questa considerazione si può presupporre che in un tempo uguale a quello che abbiamo impiegato per evolverci da ominidi a homo sapiens sapiens (quindi 5 o 6 milioni di anni), la nostra specie si sarà ulteriormente evoluta in qualcosa di più raffinato e capace, magari del tutto differente dalla razza umana come la conosciamo oggi.
Questo processo può avvenire a condizione (per niente garantita) che riusciremo a condividere il pianeta in cui viviamo per un tale periodo senza spazzarci via con una guerra nucleare e senza avvelenare a morte noi e il nostro ecosistema.

Visti i risultati (alcuni eccellenti, sì, ma altri decisamente vergognosi) che abbiamo raggiunto in questi milioni di anni, invece di preoccuparci di quanto schifo ci possono fare le scimmie, sarebbe il caso iniziare a pensare per tempo a quanto schifo potremo fare ai nostri lontanissimi discendenti, quando, tra milioni di anni, anche loro si guarderanno indietro per analizzare la loro cronistoria evolutiva e ripenseranno a quante ne abbiamo combinate, pur ritenendoci homo sapiens invece che homo insipiens.

Daniele Raimondi

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