Un'amarezza profonda emerge con sofferenza, come se non volesse spiegarne la causa dirompente, limitandosi a frecciate fulminanti, lanciate durante una agitata passeggiata su un lungomare ligure, da tempo approdo e rifugio per lei e Emanuele, il ragazzo che ha gli stessi anni della strage di Capaci: «La mafia non è morta. Si è infiltrata dovunque, qui al Nord. E giù, a Palermo, il pool antimafia c'è ancora? Non lo vedo più. Vedo solo magistrati che litigano. Soprattutto su quel Massimo Ciancimino che mi ha fatto piangere...».
Si blocca, riprende nervosa, si pente d'aver pronunciato le ultime parole, poi si sfoga e spiega d'essere infuriata con se stessa: «Ma lo capisci che io ho implorato aiuto a questo impostore, che ho chiesto di fare giustizia al figlio del vecchio Ciancimino?».
È una rivelazione che la fa star male. C'è una panchina. E c'è un bicchiere d'acqua. Sorseggiato fra interrogativi posti a se stessa: «Perché l'ho fatto? Perché è accaduto? Chi me l'ha fatto fare?».
Ed ecco venir fuori il racconto di un incontro casuale fra la giovane vedova che nel '92 s'aggrappò al cardinale Pappalardo e il rampollo di «don» Vito Ciancimino, il figlio del sindaco da lei sempre considerato simbolo del male: «È accaduto l'otto dicembre, a Fiumicino. L'ho fermato io. L'ho supplicato piangendo di dire la verità. E mi sono quasi affidata a lui, invece di ignorarlo e di maledirlo come bisogna fare con quanti hanno fatto affari e coperto gli assassini di Cosa Nostra. Perché l'ho fatto? Io ce l'ho con me stessa, sciocca, caduta nella trappola. Ma ce l'ho soprattutto con chi mi aveva fatto credere che quel furfante fosse davvero affidabile. Lo vedevo protetto dalla polizia, coccolato dai magistrati, all'università accanto a Salvatore Borsellino, osannato nelle trasmissioni televisive, sui plachi della politica, perfino a Verona con gli uomini di Di Pietro e, fino a qualche settimana fa, in comunella con i giornalisti antimafia al convegno di Perugia...».
È uno sfogo accorato. Scandito dalle riflessioni sui litigi fra i magistrati di Palermo e Caltanissetta per la gestione di Ciancimino junior: «Come possiamo celebrare l'anniversario mentre questo caso divide chi ancora indaga? Al punto che devono intervenire il procuratore nazionale Piero Grasso e il Consiglio superiore della magistratura, costretti ad assistere pure agli scontri fra i pm di Palermo e il presidente dell'Associazione magistrati. Tutto questo perché Ciancimino l'avevano fatto diventare con le sue parole il fulcro della verità. Ma non si dovrebbe cercare di andare oltre le parole, facendo indagini vere?».